Dealer
(Benedek Fliegauf, Ungheria 2004)
Con Felícián Keresztes, Barbara Thurzó, Lajos Szakács, Anikó Szigeti, Edina Balogh, Dr. Dusán Vitanovics, Katalin Mészáros .
Dealer
Deal
Dead
…"Se è fortunata, tra un paio di giorni ne
esce"…
"E se non è fortunata?"
"Ne esce prima."
Nell'insondabile esplorazione del vuoto,
nell'ovatta che circonda il pianeta alieno in cui il Dealer si muove, il
terreno vibra. L'aria vibra. pulsazioni elettroniche extradiegetiche,
onnipresenti, ossessive. Una camera che ruota lentamente, scruta lo spazio
vitale in cui si consuma la stasi. Irreversible al cloroformio, notte
dei vivi morenti. in un presente il cui tempo galleggia sotto formalina
respirano carcasse umane come in un'apocalisse post-romeriana, detriti di
umanità inghiottiti da spazi- sepolcri ("Questa non è la sua tomba. La sua
tomba è al cimitero." … "Ma tua madre non è li. Lei è qui").
Tutti partecipano al pasto nudo tranne
il Dealer, il cui sangue è nuovamente
pulito. Lui si limita a caracollare da un disagio umano all’ altro; è il
collante che lega i superstiti di questa fine del mondo. Come in Clean,
Shaven dell'americano Lodge Kerrigan, i suoni si impregnano di riverberi
nervosi, amplificazioni realistiche che definiscono un'estetica .
E' un'opera altamente funerea l'opus n°2 di
Benedek Fliegauf. Una processione di 136 minuti sospesa su di uno stato di
perenne dormiveglia, un limbo in cui realtà e sogno tendono a confondersi reciprocamente.
Ma è anche l'opera di un ragazzo dotato di una personalità tale da saper
piegare la forma ai tempi sedati del racconto, capace di lasciar fluttuare gli
interpreti nello spazio dell'inquadratura e di trascinarli da un'ellissi
all'altra plasmando semplicemente quei confini. Schiacciandoli, muovendo aria
al loro interno.
L'evidenza è che la dimensione di Dealer non
appartiene al nostro presente. non è possibile che vi appartenga. E' palese,
necessario (credere) che qualcosa sia accaduto alla terra, che quell'intestino
di città sia situato in un altroquando dagli ingranaggi difettosi. Emblematica in questa chiave di
lettura una sequenza dagli echi metafisici: il protagonista percorre una strada
di periferia deserta (quasi tutti i luoghi del film sono privi di anime, del
resto) e durante il tragitto, in una delle due corsie, un uomo prende a
martellate il parabrezza di un'auto in sosta. Lo fa da sopra il tettuccio.
Siamo ben oltre l'effetto straniante; l'azione è ripetuta meccanicamente, senza
urgenza. Un automa avulso dal contesto ma al tempo stesso parte integrante
della scenografia. Del resto, anche il più recente (e dolorosissimo) Womb,
situa le vicende in uno spazio-temporale di altra natura, esplicandolo tuttavia
palesemente. In Dealer lo si può intuire (azzardare?) osservando la deriva di una società che pare sopravvissuta
ad un' invasione di morti (ancora, non a caso, riferimenti alla saga di
Romero), e ciò che resta è il frutto della resistenza: pochi sparuti individui
malati e tossici. Ed è qui che risiede lo scarto narrativo più interessante: La
droga non è un accessorio di cui si mostrano le conseguenze per chi ne abusa; è
uno stato esistenziale, un anestetico dalla natura quasi genetica. Come se la nuova
razza ne avesse sviluppato geni propri. In quest' ottica aberrante,
il Dealer diventa dispensatore di vita anziché di morte; un angelo ambiguo,
sottilmente utile al sostentamento di ciascuno. Questa condizione ontologica
genera forse l'incapacità di provare disprezzo nei suoi confronti e gli
conferisce un barlume di umanità in grado di accendere una flebile speranza
nello spettatore.
Ma l'opera torna ad soffocare i bagliori riflettendo sulla pericolosa
deriva della psiche umana raggiunto il punto di rottura: la corda tesa nel
vuoto su cui il protagonista cammina passo dopo passo si spezza dopo la frase
di una bambina, detta a bruciapelo. Nell'economia narrativa, una battuta
apparentemente di raccordo; nelle conseguenze della storia, la definitiva
spinta verso il baratro, il punto di non ritorno. Le conseguenze si sviluppano
tuttavia con naturalezza, senza strappi, perfettamente in linea con i toni
narcotizzati dell'opera: la scelta lancinante è un incredibile svolta che si
consuma in silenzio. A noi resta solo il vuoto di una debole luce che si
allontana sempre più, fino al totale blackout.
(Saggio realizzato per il catalogo 2013 del Lucca Film Festival)